L’ombra dell’anima, di Alessandro Serafini, non è certo specchio di materiale letterario “easy”. Non bisogna approcciarsi ad esso con intenti di lettura didascalici o di intrattenimento. Questo scrivere non è quel genere di parola che scivola addosso, i versi si attaccano alla pelle, la mordono, la lacerano per infiltrarsi nelle viscere, tormentando la quiete. Vengono in mente il Kerouac di Scrivere Bop e i suoi precetti per rendere una prosa veramente creativa: vagabondare nei meandri della propria mente come in trance, vagheggiando l’oggetto che si ha di fronte; abbattere le inibizioni letterarie, i formalismi grammaticali e sintattici; scrivere per se stessi e raccontare la storia del mondo attraverso il monologo interiore e il flusso di coscienza. La silloge può essere definita come una vera e propria poesia di “sangue”: non solo perché l’immagine di esso è ampiamente ricorrente nelle liriche sin dalla prima pagina – con un’appendice di significati simbolici che andremo a svelare di volta in volta –, ma anche nella misura in cui il poeta ci trascina verso un tipo di fruizione carnale del verso, epidermica, immediata.
(dalla prefazione)
Alessandro Serafini è nato a Roma, dove tuttora vive. Ha già pubblicato Noi, Comuni Immortali (Il Filo, 2007).
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