Ci sono momenti nella nostra vita, in cui ci sentiamo avvolti da una specie di magia, quasi fossimo delle fate. Ci avvolge un’energia positiva, ci sentiamo amati e apprezzati, e per brevi istanti abbiamo quasi la sensazione di poter dirigere la nostra esistenza ovunque desideriamo. È in queste occasioni che ci sembra di uscire da una sorta di torpore che ci aveva oscurato la vista. Una presa di possesso del nostro io più forte.
E ce ne sono poi degli altri in cui lo sconforto, la solitudine, la delusione nelle relazioni o nelle aspettative ci portano a discendere nelle caverne di un nostro io più nascosto. Come delle streghe ci celiamo alla vista altrui, cercando una connessione differente, con la natura, con l’energia del mondo, con la spiritualità. Ed è grazie anche a questo dolore che ritroviamo in noi i doni più invisibili.
Queste due facce della nostra esistenza si alimentano a vicenda. L’una non può esistere senza l’altra, ma tra l’una e l’altra siamo distratti dalla nostra routine, che ci travolge e ci trascina in un vortice, limitandoci nei pensieri, nelle riflessioni e negli approfondimenti. Forse questo stato ci protegge dall’eccesso degli altri due, facendoci sentire protetti e parte del corso del fiume che la vita ci vuole mostrare, e nel quale ci spinge a galleggiare.
“Attraverso un’alchimia di scorci di vita, brevi fiabe inedite, riflessioni dal passato, proverbi e metafore” – scrive Cinzia Sardisco nella Prefazione – “distinguiamo le emozioni umane e diamo loro vita riconoscendoci in ciascuna, osservandone e accettandone pregi e difetti… Per chi ancora si sente fata, e cerca il cammino da percorrere, e per chi invece strega, e lo rivaluta osservando le proprie impronte dietro di sé.”
Cinzia Sardisco nasce nel 1967 ad Acqui Terme, una cittadina del Monferrato in provincia di Alessandria. Cresciuta a Torino, rimane senza famiglia all’età di 14 anni. Comincia così un cammino in solitudine nella vita, alla ricerca di nuove radici e delle motivazioni intrinseche che l’hanno costretta ad affrontare così tante difficoltà. Unico compagno di viaggio è il proprio diario, complice di autoriflessione, rideterminazione, motivazione. “Come un padre, un amico, un fratello, un terapeuta, il diario di me stessa mi ha portato ad amare la scrittura e la lettura, che avevo dovuto interrompere in giovane età”. Con la vecchia Olivetti regalata dal padre, o a penna sulle panchine, in riva al mare, in stanza chiuse, le parole sono sempre fluite come una musica. Decisa a fornire comunque aiuto per compensare quello mai ricevuto, si dedica al sociale attraverso varie figure professionali, per divenire poi educatore. L’arrivo dei figli in giovane età radica finalmente il cammino, dona un obbiettivo che comunque percorre ugualmente in solitudine. L’amore per tutto ciò che è naturale e il desiderio di rendere le persone il più possibile indipendenti la spingono infine verso la campagna alla ricerca dei saperi antichi e dell’autosufficienza. Il diario, anzi i diari, sono ancora lì… a riempire bauli interi. Da essi prendono vita i volumi, tra cui questo libro.
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