Svegliato dal suono del campanello di casa dopo il suo turno di guardia notturna in ospedale, il chirurgo Alfredo riceve la visita inaspettata di una ragazzina che ricorda in tutto e per tutto l’amata moglie Maria, venuta a mancare diversi anni prima. La somiglianza non è casuale: la giovane si rivela infatti esserne la nipote di cui porta lo stesso nome (seppur pronunciato all’anglosassone), per l’incredulità dell’uomo che fino a quel momento ne ha ignorato addirittura l’esistenza. Mary gli racconta di essere il frutto di un amore giovanile del padre Marco ai tempi in cui quest’ultimo era partito per un anno sabbatico in giro per il mondo dopo il liceo, e che nonostante i suoi divieti ha deciso di venire lo stesso dall’Australia a Venezia per conoscere quel nonno di cui aveva solo sentito parlare dai racconti dei genitori e dello zio Simone, da anni in assenza di rapporti con Alfredo. Mary viene quindi presentata e progressivamente accolta sempre di più nella cerchia di relazioni del nonno, un insieme eterogeneo composto non solo da legami familiari ma comprendente anche amicizie sincere acquisite nel corso della vita, insomma una vera e propria “tribù”. Finché un giorno, in maniera improvvisa, uno scatolone chiuso e sigillato consegnato al gruppo sembra restituire qualcosa di ignoto della storia di Maria: passato e presente tornano ancora una volta a intrecciarsi…
L’autrice Miryam Caputo anche questa volta è riuscita a far sì che la sua città faccia da sfondo e sia coprotagonista nello stesso tempo del suo nuovo romanzo, come già accaduto nei due precedentemente pubblicati: La Mimma Maia e Camici verdi e aquile d’acciaio. Vivere a Venezia per lei è fonte continua di ispirazione, poiché in questa magica e strana città dove i contatti umani sono ancora possibili lei riesce a dare il meglio di sé.
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