Procedendo nella lettura di L’attesa, si avverte, una corpulenta rappresentazione di stati d’animo, paesaggi, emozioni, ambienti oscillanti dalla tenerezza di un fiore che sboccia e la corpulenza di sensazioni forti intrise di dolcezza e di rancori, di tenere effusioni e maledizioni per la cocaina. La vena che percorre l’intera opera ha un elemento unificante. È l’ingegnaccio dell’autore espresso con la stessa virulenza e tenerezza dell’opera figurativa. Comprendendo, quindi, anche quella della scultura. Non so se è utile e opportuno far riferimento ad “exempla”. Si corre il rischio, inevitabilmente, di semplificazioni ambiziose; ma si guadagna in chiarezza e pregnanza argomentativa. Mi sembra suggestivo e, forse, utile richiamare un personaggio, un’opera, un’attività che potrebbe essere in qualche modo illuminante per cogliere certi dati unificanti dell’opera di Virgilio Del Guercio. Penso a Benvenunto Cellini e alla fusione del Perseo. Certo, è paragone ambizioso e azzardato per mille motivi, per mille motivi improponibile. Ma un paragone che aiuta a capire. E l’opera di Del Guercio deve essere, appunto, capita. Capita in ragione dell’“ingegnaccio” del suo autore.
Virgilio Del Guercio è nato nel 1939 a Calabritto (Avellino), dove vive e lavora. Ha frequentato la scuola d’arte ad Urbino e poi a Vercelli. Appassionato delle scienze filosofiche e letterarie, ha studiato come autodidatta sin dall’adolescenza il culto degli antichi: da Esopo, Sofocle, Eschilo, Euripide e via, via, attraverso Schopenhauer, Kant, Freud, fino ai più recenti. La sua produzione pittorica è iniziata negli anni Settanta e continua ancora oggi.
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