“Un quaderno collettivo, un dove in cui raccontare l’amore, l’orrido, la vita. La gioia, il proprio punto di vista. Tutto quello che vorremmo dire, che avremmo detto, che teniamo dentro e che nessuno, probabilmente, ha mai ascoltato.”
“Una corale di voci differenti che si tengono la mano, accomunate dallo stesso filo, donne, bambine, ragazze che si raccontano nella quotidianità della violenza domestica, della vita, della speranza, della ripetizione e di un amore, quasi sempre mancato. Nuove prospettive, rivoluzioni, resurrezioni e prese di coscienza. Figli e figlie estremamente coraggiosi.”
“È nel quotidiano, nei silenzi, nell’abitudine, nelle voci ancora vive che questa stanza di Storie di Lana cerca le parole, persone di qualsiasi età ed estrazione sociale che hanno invertito la rotta, hanno strappato la propria vita da un meccanismo mortifero, difficile e complesso da spezzare, quale è la violenza.”
Essere umano di taglia piccola, meticcia, un po’ strega e un po’ d’autunno. Metà sarda e metà bielorussa, nasce all’alba, settimina e senza guscio, un giorno di fine aprile, nel 1995. Non sa se qualcosa l’abbia capita dalla vita, nel mentre però ha imparato a creare giacigli confortevoli quando niente è a portata di umanità. Crede nella gentilezza e nella parola che cura, bordando la vita, cucendo il dolore, a forma di disegno di bambino molto piccolo. È nell’ascolto, nella lana e nella morbidezza dei fili colorati che ha trovato la sua tana. Nel ricamo della parola. Nelle pizzette al taglio. Non sa parlare a voce alta, salva ancora i lombrichi e le lumache dalla strada. Anastassìa, con l’accento sulla i, significa resurrezione, probabilmente è la cosa che sa fare meglio. Si commuove per tutto e ride quando non si dovrebbe.
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