La narratrice, ancora bambina, si racconta e ci racconta la sua infanzia negli anni ’60, il paese, le figure portanti della sua vita: la nonna, la mamma, il padre e gli adolescenti della comunità rurale in cui è radicata. Bucoliche descrizioni rendono questo racconto magico, bellissimo con le sue campagne infuocate dal sole o gelate d’inverno, con le voci delle massaie che popolano le fontane, con i ritmi della giornata scanditi dal lavoro dei campi. È un mondo ormai perso, quello descritto dagli occhi della protagonista ancora bambina; uno spaccato di realtà e valori della cultura contadina ormai smarrito, in cui si affaccia, però, prepotente, la volontà della protagonista come di tutte le adolescenti dell’epoca, di riscatto, di emancipazione, di maggiore libertà.
“Le nostre mamme, zie, nonne, sono dimesse, sobrie, non amano i colori vistosi, gli abiti ricercati, non usano cosmetici, vestono con semplicità. Per non parlare delle contadine costrette a portare avanti i lavori pesanti nei campi e nelle stalle, dai piedi crepati, le mani callose, la pelle indurita dal sole dell’estate e dal freddo dell’inverno, che portano vestagliette di tela, il ciuccio e il fazzoletto legato sotto la nuca. Non riusciamo a cogliere la bellezza nell’abbigliamento delle nostre donne, solo la fatica, la sottomissione, la rassegnazione. Noi adolescenti non vogliamo vivere tra le pene e le rinunce, non vogliamo indossare gli abiti dei nostri genitori. Desideriamo sentirci emancipati e la Festa del Patronato Scolastico è l’unica che ce ne offre almeno l’illusione.”
Con minuzia di particolari, l’autrice ci propone una carrellata di personaggi e storie di altri tempi, offrendo agli occhi del lettore piccoli quadri di un’epoca tanto lontana quanto concreta e autentica, dove la povertà era un denominatore comune ai più ma la bontà, l’altruismo e il bene reciproco rendevano tutto sopportabile.
Francesca Belcapo (pseudonimo) è di origine marchigiana. Appassionata delle tradizioni della sua terra, dopo la laurea ha svolto la professione di insegnante di materie letterarie nei licei. Ha pubblicato un saggio critico sulla trilogia di Giovanni Testori (grafica e stampa Soc. Coop. 2019), ha vinto il primo premio per i racconti brevi in lingua italiana al concorso letterario nazionale “Città di Olbia 2020”, è risultata finalista meritoria in altri concorsi letterari tra i quali il “Premio letterario Assosinderesi Awards Prima Edizione”, e il “Concorso letterario Le Parole Che Curano, Edizione 2021.”
lucia.aureli77@gmail.com –
E’ un libro intessuto di elementi semplici, una bambina, i suoi amici, una comunità rurale che vive in un territorio collinoso dell’Alto Maceratese negli anni Sessanta. La storia è frutto della fantasia, ma non esiste nessun bambino o nessuna famiglia di campagna del territorio marchigiano che non abbiano vissuto almeno alcune delle esperienze raccontate. La voce narrante ci conduce, con intensità progressiva, dentro i preparativi per la festa del Corpus Domini e poi si dipana in altri momenti di vita paesana e rurale sempre con la stessa intimità. Si alternano rapidamente sulla scena tanti personaggi, descritti con accurata delicatezza. Tutti vivono l’emozione dell’essere insieme, del contatto con la natura e ciascuno assolve al proprio compito con dedizione e senso religioso. Una profonda armonia unisce i vezzi, le piccole ambizioni, gli amori, le timidezze, le vecchie abitudini e gli antichi riti. La scrittura riesce a scorrere dentro questo ordito senza sbagliare mai tanto, precisa e mite come i personaggi che descrive. Fa rivivere un mondo passato, immerso in una sacralità rituale, offrendo una luce nitida alle passioni di un tempo che non esiste più. Il libro è consigliato ai giovani per conoscere uno spaccato di vita concretamente autentico e ormai perduto e alle persone mature che hanno vissuto in situazioni simili a quelle raccontate o che considerano la civiltà contadina ed i suoi valori una parte importante nella nostra storia nazionale.