Il narratore, figlio di genitori mezzadri, vive in un borgo dove si praticava l’agricoltura e la pastorizia.
La storia si snoda nell’arco dei primi nove anni di vita del protagonista, e fotografa, con gli occhi di un bambino, il modo di vivere quotidiano di quell’epoca, parecchio diverso da quello attuale. Non si pensi però a un periodo lontano nel tempo. La storia descrive infatti la vita quotidiana negli anni del dopoguerra. L’autore rivive le vicende di quel periodo storico, rappresentando le scene di quel vissuto in modo realistico.
Quegli uomini e quelle donne, persone realmente esistite in quel contesto, vivevano in condizioni di precarietà, pur tenendo conto dei princìpi di solidarietà e disponibilità umana svincolati dal mero interesse individualistico.
La narrazione è accompagnata da un tono ironico e spesso malinconico, frutto dell’utilizzo del dialetto stretto in cui si esprimono i protagonisti delle vicende, persone dai forti princìpi morali. Tutto questo oggi non esiste più. Nei rapporti sociali impera il menefreghismo, per cui ben si intuisce la malinconia del racconto.
Mario Di Adamo nasce nella frazione Mortale del comune di Casalattico, in provincia di Frosinone, da genitori provenienti dal comune di Colle San Magno.
Ha sempre vissuto nel comune di nascita, dove ancora oggi risiede.
Ha conseguito il diploma di geometra presso l’istituto “Cesare Baronio” di Sora (Frosinone).
Attualmente è in pensione dopo quarantadue anni e dieci mesi come dipendente del Comune di Casalattico, ove ha concluso la sua carriera come responsabile dell’ufficio tecnico.
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